TESTIMONIANZE DAL GENOCIDIO/10

giugno 26th, 2009

Brani tratti dal libro “Le ferite del silenzio” di Yolande Mukagasana

 11  

Innocent N.
36 anni, superstite, presidente di un’associazione di handicappati del genocidio, Nyamata

I.N. – Eravamo circa 20.000 resistenti. Insieme a molti altri, ci siamo rifugiati nella chiesa di Nyamata. Abbiamo resistito un mese. Là ho perso mia moglie e mio figlio appena nato. Alla fine, abbiamo dovuto fuggire nelle paludi di papiro.
Y.M. – Come hai perso la gamba?
I.N. – Sono saltato su una mina antipersone.
Y.M. – Come hai avuto l’idea di creare un’associazione di handicappati?
I.N. – Volevo che noi handicappati non fossimo costretti a mendicare. Volevo che grazie alle nostre idee e alle nostre capacità, fossimo in grado di prenderci cura di noi stessi.
Y.M. – Le ONG (organizzazioni non governative) presenti vi aiutano?
I.N. – Non proprio. Ho contattato Handicap International ma non mi hanno risposto. In cambio, ZOA, un’altra ONG, sembra volerci aiutare. Quello che più ci converrebbe, sarebbe trovare un’associazione in Europa che potesse sostenerci un po’.
Y.M. – E al momento, come fate funzionare l’associazione?
I.N. – Paghiamo una quota mensile di 100 franchi a testa. (cioè più o meno 500 lire)


21 

HITIMANA Noël
Circa 50 anni, giornalista, Nyamirambo

La memoria di Noël diventa selettiva durante il colloquio …
Y.M. – Ti dichiari colpevole?
N.H. – Colpevole?
Y.M. – Cioè, coloro che accettano quello che hanno fatto, il loro lavoro durante il genocidio.
N.H. – Si, accetto quello che ho fatto, il mio lavoro durante il genocidio. Ma non mi sono dichiarato colpevole.
Y.M. – Pertanto, mi sembra aver sentito la tua voce, tu hai dato il mio nome alla radio, dicendo che ero morta. Non so se ti ricordi. Il 7 aprile mattina.
N.H. – Un comunicato o cosa? Si, è possibile. È possibile, perché i comunicati passavano.
Y.M. – Conosci Musoni? Era mio fratello. Eravate insieme all’ospedale di Kabgayi, durante il genocidio. Aveva voglia di chiederti se era vero che ero morta.
N.H. – Potevo sapere?
Y.M. – Si, visto che sei stato tu a dirlo alla radio!
N.H. – No. Questo non l’ho detto.
Y.M. – Eppure …
N.H. – NON L’HO DETTO!
Jean-Pierre Martin filmava il colloquio per RTL-Tvi.
J-P.M. – Perché avete accettato di lavorare per una radio che ha fatto parte della pianificazione del genocidio e che giorno dopo giorno incitava ad uccidere una parte della popolazione?
N.H. – Quando mi hanno chiamato per lavorare in questa stazione, si trattava di una radio libera, commerciale. Radio Télévision Libre des Mille Collines (radio televisione libera delle Mille Colline). Ed era autorizzata dallo Stato.
J-P.M. – Ma tutti i paesi occidentali avevano chiesto la sua chiusura.
N.H. – Perché non è stata chiusa?
J-P.M. – È a voi che lo chiedo.
N.H. – Io, non lo so.

 

31 

NGANIMANA Paul
49 anni, superstite, Bugesera

Y.M. – Quando vedi come si fa la giustizia in Ruanda e ad Arusha, pensi che verrà il giorno in cui si fará una vera giustizia sul genocidio?
P.N. – È possibile, se c’è la volontà. Tutto quello che so è che bisogna avere una giustizia secondo le leggi sul genocidio, ma nello stesso tempo non dimenticare che si è prodotto in Ruanda e non altrove. Dire ai superstiti di portare cinque o più testimoni, quando si sa che si trattava di uno sterminio e che molte colline sono state rasate, è inumano. Avere un solo testimone è già difficile. Dove vogliono che troviamo molti testimoni? A meno di resuscitare i morti. È piuttosto un modo di scoraggiarci, noi i superstiti del genocidio. Finché la giustizia non sarà fatta, i Ruandesi non avranno futuro.
Y.M. – E cosa ne pensi della riconciliazione?
P.N. – Non ci credo affatto. Perché non si può obbligare alla riconciliazione. E come se si dicesse “Devi amare quella persona.” Si tratta di un sentimento che può venire solo dall’individuo. Non si può comandare questo sentimento. Non si può esigere che mi riconcili come non si può esigere che ami una certa persona. E poi, chi si riconcilia con chi? Gli assassini che sono ancora in libertà vogliono ancora assassinare. Fino al momento in cui loro non prenderanno l’iniziativa di venire a cercarci, noi superstiti, e dirci “abbiamo peccato contro di voi, perdonateci. Ecco la ragione per la quale l’abbiamo fatto”, finché non ci sarà questa sincerità, non si parlerà di riconciliazione. Che ci perdonino piuttosto, dal momento che non abbiamo fatto loro niente. E che smettano di ucciderci.
Paul è vedovo dal genocidio. Ha resistito a Ntarama con il suo neonato sulla schiena.

 

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