TESTIMONIANZE DAL GENOCIDIO/6

maggio 22nd, 2009

Brani tratti dal libro “Le ferite del silenzio” di Yolande Mukagasana

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M. Vestina
33 anni, superstite, Gahembe

V.M. – Ho saputo della morte di Habyarimana solo la mattina del 7 aprile. Ho chiesto a una vicina hutu perché c’erano dei gruppuscoli nel centro del villaggio. Mi ha risposto con aggressività. “Smettila di fare finta. Sai bene che il presidente è stato assassinato.” Ho avuto veramente paura. Per me, era la fine. Ripensando al 1992 mi sono calmata, pensando che avrebbero assassinato solo dei ricchi e degli intellettuali. Un anziano hutu, una volta amico di mio padre, è venuto a prendere me e i bambini, poiché ero vedova. I figli di quel vecchio erano degli Interahamwe. Sua moglie, una Tutsi, fu la prima a cacciarmi. Esageravo la situazione, diceva. Suo marito ha dovuto impormi. Suo figlio, il più pericoloso di tutti, mi ha preso e spinta con un’ascia. Sono caduta sulla schiena. Ho visto l’ascia sollevata sopra di me, pronta a colpire. L’immagine mi terrorizza ancora oggi. È il fratello più piccolo, eppure anche lui miliziano, che mi ha salvato la vita. Mi ha tenuta in ostaggio per tutto il periodo. Mi violentava regolarmente. Gli lasciavo usare il mio corpo, a patto che non uccidesse, i miei figli.
Y.M. – Non hai paura dell’AIDS?
V.M. – L’AIDS? Si, ho paura, ma lo vedo come una fatalità. Recentemente ho notato una macchia sulla mia gamba. Ho pensato subito che era l’AIDS. Ma a che serve preoccuparsi? In ogni caso, se ho l’AIDS, non ho i mezzi per curarmi. Spero solo di non morire prima che i miei figli siano grandi.
Y.M. – Pensi di fare il test?
V.M. – A che serve?
Y.M. – E non gliene vuoi a quest’uomo che ti ha preso con la forza?
V.M. – Certo che gliene voglio. Testimonierò contro di lui. Se mi ha preso in ostaggio, non era per amore. Era il suo modo di uccidermi.

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MUKASARAMBU Béata
25 anni, superstite, Nyamirambo

Béata è mia nipote, ha accompagnato i miei figli fino alla fossa dove sono stati assassinati.
B.M. – Ma zia, come sei ingenua! Tutti gli Hutu del quartiere avevano una sola idea in testa, uccidere. Non salvare. Il giorno dopo la morte dei tuoi figli, la moglie di Camille mi ha detto “c’è un uomo là nella strada e vuole vederti. è un miliziano che forse viene ad ucciderti. Si chiama Bizimungu.” Ma io, volevo solo una cosa: la morte. Pensare di poter morire era per me un piacere. Mi sono precipitata verso il miliziano. Ma ha esitato. “No, ha detto, di sicuro non sei tu la Béata che cerco. Quella che cerco è una Hutu, la sorella di Véné. Senza dubbio non sei tu. Torno a chiedere se sei tu.” È andato via ed è tornato dopo un quarto d’ora. E ha detto “Vieni, andiamo.” Siamo andati e abbiamo preso la direzione della fossa. Camminavo felice. Arrivati vicino alla fossa, Gaspard, il tuo vicino, ha gridato “Bizimungu, portami quella ragazza. Deve entrare nella mia casa.” Bizimungu rispose: “Conosci Ruvubu, il più grande miliziano? È lui che mi ha mandato a prenderla. Se viene a sapere che l’hai presa per te, sarà la guerra tra voi. A te la scelta.” In quel momento ho capito che mi cercavano per violentarmi. Zia, non voglio più continuare. Parleremo del resto più tardi. Lo sai, la mattina stessa, mi avevano messo una granata in bocca per obbligarmi a dire dove ti eri nascosta. Dopo quella granata, sono un po’ matta. A volte credo ancora che stia per esplodere. Mi succede di rimpiangere il fatto che non sia mai esplosa.

 

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Anastasie I.
49 anni, superstite, Gahembe (Bugesera)

A.I. – Sulla collina dove eravamo fuggiti, gli uomini si battevano contro gli assassini e le donne e i bambini raccoglievano dei sassi per aiutarli. Nella mischia, un miliziano mi ha detto: “tu sei come una madre per me, vorrei poterti nascondere ma l’ultimo giorno dei Tutsi è venuto, devono tutti morire”. Mi ha tenuto tre giorni nel suo bananeto perché aveva paura di tenermi in casa; poi mi ha portata in mezzo a dei cadaveri sulla collina della resistenza. Là abbiamo passato la notte, mio figlio ed io. Gli assassini sono venuti, mi hanno colpito e hanno ucciso mio figlio. Uno di loro ha detto: “Questa vecchia ci ha curati tutti, se la uccidiamo, ci porterà male. Lasciamola in mezzo ai morti. morirà di fame; i cani e i nibbi finiranno il lavoro”. Se ne sono andati. Uno degli assassini è tornato: “vieni a casa mia, se mia moglie accetta, ti nascondo”. Sua moglie ha rifiutato, mi ha messa nella boscaglia e mi portava tutti i giorni dei semi di sorgo; poi, quando il FPR è arrivato, mi ha avvisato: “Anastasie, vengo a salutarti, non posso più proteggerti, non ti perdere d’animo e fai attenzione ai fuggiaschi, uccidono sul loro passaggio”.
Y.M. – Hai figli?
A.I. – Sì, tre. Quattro sono morti. La più grande è stata violentata e ha un bambino. Ho veramente molte ferite sul corpo, le mie cicatrici stanno scomparendo ma le ferite del cuore non si cicatrizzeranno mai.
Y.M. – Cosa pensi delle ONG e della Chiesa cattolica?
A.I. – C’è stato del disaccordo tra la Chiesa cattolica e il nostro governo. Quest’ultimo voleva che la Chiesa di Nyamata diventasse un monumento commemorativo del genocidio per lasciarci riposare gli scheletri. Per la Chiesa era un peccato. Sarebbe più grave tenere queste ossa nella chiesa piuttosto che aver lasciato uccidere là degli esseri umani? La Chiesa, non voglio più sentirne parlare … i religiosi bianchi sono stati rimpatriati, i religiosi ruandesi sono stati abbandonati. È successo lo stesso con le ONG.
Oggi, molti assassini si rifugiano nelle sette e fanno finta di avere la fede.

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