Archive for aprile, 2009

IL GIORNO PEGGIORE DELL’ONU

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Mezza pagina di Daniele Scaglione

Commenti, notizie, testimonianze e aneddoti in pillole raccontate da Daniele Scaglione, capo del dipartimento campaigning di ActionAid Italy

“Qui si sta pianificando un massacro; con i 2500 militari che ho a disposizione non posso fermarlo, ma se ne avrò almeno 5.000 impedirò lo scoppio della violenza”. Il generale Romeo Dallaire, capo dei caschi blu in Rwanda fece più volte questa richiesta ai suoi superiori all’ONU, inutilmente. Per occuparsi della questione il Consiglio di Sicurezza aspettò il 21 aprile, dopo che anche le prime pagine del Washington Post e del New York Times avevano parlato di almeno 100.000 uccisioni. Ma il rapporto del segretario generale Boutros Ghali consegnato ai membri del Consiglio non teneva affatto conto delle richieste di Dallaire, e spiegava il tutto come semplici eccessi della guera civile in corso nel paese. Secondo Boutros Ghali, dunque, il massimo che si poteva fare era lasciare 270 caschi blu a mediare tra le parti. D’altra parte l’ONU pensava a salvare la propria faccia, non il popolo rwandese. Il 30 aprile seguente al Consiglio di Sicurezza arrivò la bozza di una risoluzione che definiva ciò che stava accadendo in Rwanda come un ‘genocidio’. Questa parola venne però sostituita dall’espressione ‘crimine punibile dalla legge internazionale’. Una differenza cruciale: se fosse rimasto ‘genocidio’ l’ONU sarebbe stata obbligata a intervenire. Ma come ben spiegò l’ambasciatore britannico “se poi non attuassimo un pronto intervento faremmo una figura ridicola”. Così, a difendere i civili rwandesi rimasero un pugno di caschi blu, in maggior parte africani. Alcuni di loro pagarono la propria scelta con la vita.

 

 

Aggiungi un commento aprile 5th, 2009

RWANDA 1994 – QUINDICI ANNI DI COLPEVOLE OBLIO

Tra il 6 aprile ed il 18 luglio 1994, si é compiuto in Ruanda uno dei piú mostruosi crimini della storia dell’umanitá: il genocidio dei Tutsi (accompagnato dai massacri degli Hutu moderati) commesso dagli estremisti dell’Hutu Power. Almeno ottocentomila persone (un milione secondo alcune stime) furono massacrate nello spazio di cento giorni, ad un ritmo cinque volte superiore a quello del genocidio degli ebrei durante la seconda guerra mondiale, con modalitá particolarmente barbare ed atroci.

Il genocidio dei Tutsi, che affonda le sue radici nei gravissimi, criminali errori commessi dal colonialismo belga (colpevole di avere artificialmente creato il divisionismo etnico nella societá ruandese), fu pianificato, organizzato, istigato e compiuto, a diversi livelli di responsabilitá, dal governo ruandese, dall’esercito regolare ruandese, da milizie estremiste quali i famigerati Interahamwe e Inpuzamugambi, e da milioni di ruandesi, uomini e donne, istigati dal nazismo tropicale dell’Hutu Power.

Le Nazioni Unite (benchè fossero presenti sul campo con una missione di pace) e le potenze internazionali (in primis la Francia, alleata del governo ruandese dell’epoca, e gli Stati Uniti), informate con largo anticipo di quanto si stava preparando, nulla fecero per evitare o almeno bloccare il genocidio dei Tutsi.

Mentre si commettevano massacri su larghissima scala ed efferratezze innominabili, preferirono ignorare gli obblighi non solo morali, ma anche legali, derivanti dalla Convenzione del 1948 per la prevenzione e la repressione del crimine di genocidio. A lungo rifiutando persino che si pronunciasse la parola “genocidio” (per non doverne trarre le conseguenze legali previste dalla Convenzione) mentre i massacratori proseguivano il “lavoro”, la comunitá internazionale non intervenne a porre un fine al genocidio e a difendere le vittime, ma lasció invece che fossero atrocemente trucidate.

La Radio Televisione delle Mille Colline incitava la popolazione a “tagliare tutti gli alberi alti”, ricordando che “le fosse” erano “solo a metá piene”, e intanto i mass-media internazionali erano incapaci o addirittura riluttanti a spiegare quanto realmente succedeva in quell piccolo (e fino ad allora pressoché sconosciuto) paese africano.

Non svolsero affatto il loro dovere di divulgare un’informazione chiara e veritiera all’opinione pubblica internazionale, peraltro già distratta da altri eventi internazionali, quali i campionati del mondo di calcio negli Stati Uniti, la fine dell’era dell’apartheid in Sudafrica, o il prolungarsi del conflitto nell’Ex-Yugoslavia. Non spiegarono che era in corso un genocidio lungamente annunciato, e diffusero invece la vaga e menzognera idea che quanto stava accadendo in Ruanda era uno scoppio irrazionale ed improvviso di violenza, un tipico “conflitto interetnico”, una questione “tra selvaggi africani” per la quale c’e’ ben poco da fare, nella quale non vale la pena interferire.

Paradossalmente, ulteriore imperdonabile offesa alle vittime del genocidio, furono questi stessi media occidentali che avevano ignorato lo sterminio dei Tutsi a suscitare poi l’ondata di commozione pubblica internazionale intorno alla sorte dei milioni di “profughi” hutu colpiti da un’epidemia di colera nei campi infernali di Goma e Bukavu, nell’allora Zaire, oggi Repubblica Democratica del Congo!

Tuttavia non di classici profughi si trattava, ma in larga misura di assassini fuggitivi, poichè in tali campi spadroneggiavano, numerosissimi, gli autori del genocidio, i promotori, i pianificatori, i miliziani e centinaia di migliaia di ordinari assassini, tenendo in ostaggio il resto della massa di oltre due milioni di Hutu che si era riversata in Congo ed altri paesi vicini alla fine del genocidio, mentre l’esercito francese ne copriva la ritirata strategica.

Questa fuga di massa senza precedenti nella storia scaturiva dall’avanzata delle truppe vittoriose del Fronte Patriottico Ruandese, il movimento di opposizione armata predominatemente Tutsi, che aveva appena vinto la guerra civile e progressivamente messo fine al genocidio, e che si apprestava a prendere il controllo politico e amministrativo del paese. Con la generosa e quantomeno acritica assistenza della comunitá umanitaria internazionale, questi fuggitivi, guidati dalle gerarchie genocidarie ed inquadrati dalle milizie, rimasero per due anni in campi vicini alle cittá di Goma e Bukavu, sulla frontiera stessa tra Zaire e Ruanda, da lì proseguendo le azioni militari e gli atti di genocidio nel vicino Ruanda.

Nel 1996, questi campi furono chiusi con la forza dall’esercito ribelle congolese guidato da Laurent Désiré Kabila, la cui inesorabile avanzata, sostenuta dall’Esercito Patriottico Ruandese e dai guerriglieri Banyamulenge (Tutsi congolesi), finí poi per rovesciare il trentennale regime del giurassico, cleptocratico despota Joseph Désiré Mobutu Sese Seko, fondando l’attuale Repubblica Democratica del Congo (RDC).

Numerosi Hutu perirono nei combattimenti; una parte si disperse per l’Africa e per il mondo; molti miliziani Interahamwe rimasero nell’est della RDC, dove hano imperversato fino ad oggi taglieggiando le popolazioni civili, stuprando donne e bambini senza pietà, e costituendo la causa principale del perpetuarsi fino ad oggi del cruentissimo conflitto congolese, che ha portato alla destabilizzazione regionale, e allo sfruttamento illecito delle ricchezze minerali della RDC da parte di numerosi attori congolesi, regionali ed internazionali.

Una larga maggioranza di Hutu fece comunque ritorno in un paese devastato e coperto di cadaveri, dove rimanevano gli Hutu che non erano fuggiti ed i pochissimi Tutsi dell’interno sopravvissuti. Contemporaneamente fecero ritorno, dopo la fine del genocidio, centinaia di migliaia di Tutsi della diaspora, che mettevano fine ad un esilio trentennale cominciato con i primi pogrom anti-Tutsi del 1959 che avevano segnato l’inizio del dominio Hutu in Ruanda.

Il nuovo governo ruandese, guidato dall’Fronte Patriottico Ruandese dell’attuale presidente Paul Kagame, si confrontava con il compito dantesco di risollevare dalle ceneri del genocidio un paese devastato, insanguinato e spopolato. Tra i molteplici, simultanei sforzi prioritari necessari in un tale contesto post-apocalittico, da cui si ripartiva da molto sotto zero, si impose con grande forza anche quello della giustizia del genocidio.

Tuttavia, come rendere tale giustizia, quando gli avvocati, i giudici, i funzionari, o erano stati massacrati, o erano divenuti massacratori, o si trovavano in fuga, o dispersi? Si dovevano giudicare oltrei centomila reclusi in attesa di giudizio nelle carceri piú sovraffollate del pianeta, e chiarire le responsabilità di una massa di almeno due milioni di persone in libertá o in fuga, che avrebbero partecipato a vari livelli al genocidio.

Questo immane processo é tuttora in corso, ed ha assunto forme molto varie e particolari. Esiste in Ruanda un contenzioso moderno nazionale specializzato nella giustizia del genocidio (ovvero gestito dal sistema giudiziario attraverso sezioni specializzate dei tribunali), che ha giudicato più di diecimila persone; e per affrontare l’emergenza di giudicare una massa sterminata di ordinari assassini, è stato allestito un particolare processo di giustizia derivato dal modello di giustizia tradizionale ruandese (chiamato “gacaca”) che ha funzioni non solo giudiziarie in senso stretto, ma di catarsi e, nella misura del possibile, di riconciliazione nazionale, per quanto ci si possa riconciliare dopo un genocidio…

Le Nazioni Unite, colpevoli di inazione nel 1994, hanno lanciato un anno dopo un (costoso e molto criticato) processo di giustizia internazionale ad hoc (il Tribunale Penale Internazionale per il Ruanda, sito a Arusha in Tanzania); e si sono osservati vari esempi di applicazione del principio di competenza universale per crimini contro l’umanitá che hanno portato alla celebrazione di processi a ruandesi accusati del genocidio in Belgio, Canada, Svizzera…

Tutti questi processi di giustizia, nonché la ricostruzione storica degli eventi da parte di giornalisti, studiosi, testimoni (quali in particolare Philippe Gourevitch, Colette Braekman, il generale Romeo Dallaire, la sopravvissuta Yolande Mukagasana) ed organizzazioni (quali in particolare la Federazione Internazionale dei Diritti dell’Uomo, Human Rights Watch, African Rights ed altri), nonchè il riconoscimento ufficiale del genocidio da parte dell’ONU, hanno dimostrato senza equivoco nè dubbio la realtá del genocidio dei Tutsi e le responsabilitá di un grande numero di individui appartenenti all’Hutu Power. Vari studi hanno anche sottolineato le responsabilitá delle chiese (ed in particolare la Chiesa Cattolica ruandese) e di certi paesi (soprattutto la Francia), coinvolti a vario titolo nel genocidio ruandese.

Tuttavia, questa veritá, a differenza della veritá sul genocidio degli ebrei, a tutt’oggi non é di dominio pubblico, non fa parte della cultura e della coscienza universali, ma rimane il patrimonio dei cosiddetti “africanisti”, l’appannaggio di “specialisti”: come dire che i crimini che altrove offendono l’umanitá nel suo insieme, in Africa, parafrasando Mitterrand, “non sono troppo importanti” .

Quindici anni dopo, è giunto il momento di rendere infine giustizia alle vittime del genocidio ruandese, è giunto il momento di rendere giustizia all’Africa, e affermare il principio che ogni genocidio, anche se le vittime sono Africane, offende l’umanità nel suo insieme e non può essere ignorato. Se è troppo tardi per salvare il milione di uomini, donne e bambini che sono stati violati, torturati e sterminati dalla notte tra il 6 e il 7 aprile al 18 di luglio 1994, non è però tardi per raccontarne la storia. Perchè la loro storia ci riguarda. Non siamo diversi da loro: le cause e le dinamiche che hanno portato a questo genocidio possono verificarsi anche da noi. Conosciamole, e riconosciamole. Non mentiamo a noi stessi con frase retoriche, “never again”. Perchè il diavolo del genocidio è ancora in azione…

Aggiungi un commento aprile 4th, 2009

BOLLETTINO DELLA I° SETTIMANA

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Antefatti

Il 4 agosto del 1993 ad Arusha in Tanzania, furono firmati degli accordi tra le due fazioni contrapposte della guerra civile ruandese: il governo del Ruanda e il FPR (Fronte Patriottico Ruandese, la più importante organizzazione politica di rifugiati Tutsi, al quale avevano aderito anche Hutu oppositori del governo dittatoriale, fuggiti dal paese).
Gli accordi inclusero un forte ridimensionamento dei poteri del Presidente del Ruanda, carica in quel momento ricoperta da Juvénal Habyarimana. Gran parte dei suoi poteri furono trasferiti al Transitional Broad Based Government (TBBG, “Governo transitorio di larga base”), che includeva rappresentanti dell’FPR e dei cinque partiti di governo. Dei 21 seggi del nuovo governo, 5 furono affidati al partito di Habyarimana di maggioranza nazionale, il Mouvement Républicain Nationale pour la Démocratie et le Développement (MRND); 5 all’FPR; quattro al principale partito dell’opposizione, il Mouvement Démocratique Républicain (MDR). L’MDR ottenne anche la carica di primo ministro, assegnata a Faustin Twagiramungu. Oltre al TBBG, gli accordi prevedevano l’istituzione di un parlamento provvisorio, la Transitional National Assembly (TNA). Entrambi questi organi avrebbero dovuto insediarsi non oltre 37 giorni dalla firma degli accordi, e il periodo transitorio non avrebbe dovuto prolungarsi più di 22 mesi, dopodiché si sarebbero tenute libere elezioni. Gli accordi prevedevano anche la formazione di un esercito unito, composto al 60% da forze ex-governative e al 40% da forze ex-FPR. Il protocollo fu firmato il 3 ottobre 1993, e il giorno successivo da Habyarimana e dal presidente dell’FPR, Alexis Kanyarengwe.
Gli estremisti del partito del presidente Habyarimana e quelli delle forze politiche radicali ad esso vicine, non gradirono affatto questo tentativo di riconciliazione.

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1994: Escalation della tensione (1 gennaio – 6 aprile)

Gennaio: Blocco degli accordi di Arusha: il governo di transizione non riesce a nascere e ogni fazione incolpa l’altra di bloccarne la formazione. La fazione del presidente Habyarimana, l’Hutu Power, che deteneva il potere fino a quel momento rifiuta ovviamente di riconoscere un governo allargato al FPR.
A Kigali l’UNAMIR (United Nations Assistance Mission for Ruanda, il contingente delle Nazioni Unite che aveva il compito di far rispettare gli accordi di Arusha) intercetta un aereo cargo partito da Châteroux (Francia) carico di munizioni destinate alle FAR, (Forze Armate Ruandesi).
L’ambasciatore belga a Kigali, Johan Swinnen, avverte Bruxelles che la nuova radio inaugurata nell’estate precedente, (RTLM, Radio Mille Colline), sta destabilizzando il Ruanda con le sue trasmissioni che invitano continuamente all’odio razziale.
Violente dimostrazioni a Kigali da parte degli Interahamwe, la milizia estremista Hutu.
Dallaire avverte il quartier generale delle Nazioni Unite che un informatore molto attendibile dall’interno dell’Hutu Power lo ha avvisato che si sta pianificando un genocidio contro i Tutsi. Dallaire cerca di persuadere il quartier generale di autorizzarlo a condurre una confisca delle armi.

Febbraio: Assassinio del leader del PSD (Partito Social Democratico) Félicien Gatabazi. Conseguente rappresaglia con lapidazione di Martin Bucyana, il dirigente della CDR, (Coalition pour la Defense de la Republique, formazione politica vicina al MRND ma con istanze più estremiste). Le violenze fanno decine di morti. Rinvio a tempo indeterminato dell’insediamento delle istituzioni di transizione (TBBG e TNA). Undici militari francesi del Dipartimento di Assistenza Militare all’Istruzione (DAMI) sono identificati a Kigali. Ufficialmente avevano già lasciato Kigali dal mese di dicembre 1993. Presenza a Kigali del capitano francese Paul Barril, funzionario dei servizi speciali presso il regime ruandese.
Il ministro degli esteri belga Willy Claes visita il Ruanda: avverte Boutros-Ghali, segretario generale delle Nazioni Unite, che Dallaire e l’UNAMIR hanno bisogno di un mandato più forte e avverte la CIA che Habyarimana potrebbe stare facendo il doppio gioco.

Marzo: Arrivo di 800 militari del contingente ghanese dell’UNAMIR, il quale conta 2.508 uomini provenienti da 22 paesi.

29 marzo: Riunione tenutasi a Kigali presidiata dal capo di stato maggiore delle Forze Armate Ruandesi (FAR) per preparare e organizzare, sotto la responsabilità dell’esercito, l’eliminazione degli “infiltrati” (i Tutsi) e dei “traditori” (gli Hutu democratici).

4 aprile: Durante un ricevimento all’UNAMIR, il Colonnello Bagosora dichiara che gli accordi di Arusha “non offrono alcuna garanzia” e parla di sterminare tutti i Tutsi.

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BOLLETTINO DELLA PRIMA SETTIMANA: 6-7 APRILE 1994– 13 APRILE 1994

6 aprile, ore 20.30: ABBATTIMENTO DELL’AEREO CHE TRASPORTAVA JUVENAL HABYARIMANA ED IL PRESIDENTE DEL BURUNDI CYPRIEN NTARAMIRA.
Gli estremisti Hutu, i quali credevano che il presidente ruandese fosse sul punto di attuare gli accordi di pace di Arusha, sono i principali sospettati di essere gli autori dell’attacco. Le uccisioni iniziano nella notte. In meno di un’ora, ancor prima che la notizia fosse annunciata dalla radio, vengono erette delle barricate nei grandi incroci di Kigali. Le strade della capitale si riempiono di cadaveri. La Guardia Presidenziale pone il divieto all’UNAMIR di recarsi sul luogo dell’attentato. Il comandante francese di Saint-Quentin può invece accedervi. Il Colonnello Bagosora, onnipresente, lancia e sorveglia le uccisioni.

7 aprile: Assassinio ad opera della Guardia Presidenziale del Primo ministro del governo di transizione, la Hutu Agata Uwilingiyimana e di dieci caschi blu belgi che ne assicuravano la protezione, ai quali vengono sottratte le armi con l’inganno. Essi vengono dapprima torturati e quindi uccisi. Assassinio di numerosi ministri e responsabili Hutu democratici. Presenza di Paul Barril durante il genocidio a Kigali, dove risiede all’ambasciata di Francia.
Inizio del massacro sistematico dei ruandesi Tutsi, degli Hutu che li proteggevano, degli oppositori politici e di tutti i sostenitori di una politica di conciliazione nazionale. Le Forze Armate Ruandesi (FAR) e la milizia degli estremisti Hutu (l’Interahamwe) erigono barricate e, recandosi di casa in casa, uccidono i Tutsi nonché i politici e i militari moderati Hutu. Sono in migliaia a morire il primo giorno. La popolazione civile trova rifugio in alcuni campi ONU, ma la parte più rilevante dell’UNAMIR resta in disparte, mentre si consuma la carneficina. Viene imposto a queste forze di non intervenire, in quanto ciò avrebbe compromesso il loro mandato di “monitoraggio”.
Il FPR ingaggia scontri a fuoco con la Guardia Presidenziale a Kigali.
RTLM trasmette che il FPR e i caschi blu belgi sono i responsabili della morte del presidente Habyarimana.

Sempre il giorno 7 aprile il Presidente Clinton pronuncia il seguente discorso:
“…..sono scosso e profondamente deluso… orrificato che unità delle forze di sicurezza Ruandesi abbiano ricercato ed ucciso ufficiali Ruandesi… porgo le mie condoglianze…Condanno tali azioni e richiamo le parti a cessare immediatamente ogni azione di questo genere”.

Clinton, a proposito del Ruanda, dichiara inoltre alla stampa:
“… Io ne parlo soltanto perché c’è un numero piuttosto elevato di cittadini Americani e la situazione risulta molto tesa. Voglio soltanto assicurare le loro famiglie che stiamo facendo tutto il possibile per avere una visione chiara della situazione cosicché da assumere le decisioni più appropriate per poter assicurare la sicurezza dei nostri cittadini che si trovano laggiù.”

8 aprile : Allargamento del genocidio fuori Kigali. Le linee telefoniche sono progressivamente tagliate. Un crescente numero di persone viene ucciso.

9 aprile: Il FPR lascia le sue basi nel nord e attacca Byumba e Ruhengeri. Gli Interahamwe e la Guardia Presidenziale conducono il massacro di Gikondo. Inizia l’evacuazione dei cittadini stranieri. Invio delle truppe a Kigali da parte della Francia (operazione Amaryllis) e del Belgio (operazione Silverback) per l’evacuazione dei nazionali residenti e degli Occidentali. I soldati belgi, contrariamente a quelli Francesi, evacuano anche qualche Tutsi. Evacuazione a Parigi di Agata Habyarimana, moglie del presidente, co-fondatrice di RTLM e co-ispiratrice della “rete Zero”, gli squadroni della morte, la cui famiglia è al centro del dispositivo del genocidio. La medesima è accolta dal governo francese. Alloggio a Parigi dei fratelli Séraphin Rwabukumba e Protais Zigiranyirazo nonché dell’ideologo Ferdinand Nahimana, personaggi chiave dell’Hutu Power.
Versamento a Parigi da parte del Ministero della Cooperazione e su ordine di Mitterand, di una somma di 20.000 Franchi ad Agathe Habyarimana, per le sue spese personali.
Evacuazione da parte della Francia dell’orfanotrofio Sainte-Agathe, permettendo così la fuga di 34 “accompagnatori” ed in particolare dei responsabili dei massacri.
Distruzione in maniera precipitosa di tutti gli archivi presso l’Ambasciata di Francia su ordine dell’ambasciatore, Jean Michel Marlaud.
Il personale politico del precedente regime trova asilo nell’ambasciata. I Tutsi, i quali vengono minacciati di sterminio, sono abbandonati alla loro sorte, incluso il personale dell’ambasciata e dei servizi culturali francesi.
Costituzione del GIR (Governo Interinale Ruandese) presso l’ambasciata di Francia e nel Ministero della Difesa, sotto il comando dell’ambasciatore Marlaud e del Colonnello Bagosora.

10 aprile: L’ambasciatore David Rawson chiude l’ambasciata americana a Kigali

10-12 aprile: Massacro nelle parrocchia di Zaea.

11 aprile: Massacro nella parrocchia di Kanzenze. La Croce Rossa internazionale stima che il numero dei ruandesi uccisi è di decine di migliaia. Presso l’Istituto scolastico Don Bosco, protetto dalle truppe belghe dell’UNAMIR, il numero dei civili raggiunge le 2.000 unità. Nel pomeriggio viene ordinato ai soldati ONU di evacuare l’aeroporto. La maggior parte dei civili, che rimangono abbandonati, viene uccisa.

12 aprile: Offensiva a Kigali delle forze del FPR per liberare le 600 proprie truppe circondate nella capitale. Tali forze erano di stanza nella città in forza degli accordi di Arusha. Il governo ad interim (GIR) fugge a Gitarama. L’ambasciata francese chiude le sue porte.

13 aprile: Massacro nella parrocchia di Kabarondo. Convogli della Croce Rossa e di MSF, (Medici Senza Frontiere), arrivano a Kigali da Bujumbura, capitale del Burundi, con medicinali e personale medico.

Aggiungi un commento aprile 3rd, 2009

POESIA PER IL RWANDA DEL POETA CHEYENNE LANCE HENSON

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years ago homeless in a san francisco rainstorm

I dreamt of a field of white

skulls

 

in a muddy field in rwanda

 

the only darkness the holes where their eyes were

 

a whisky presence and dutch army coat the only saving

grace against the other images

 

of sand creek and wounded knee

 

knowing the stench of dying hope and terror

have the same name and smell

 

and the name is missing….

 

what is the name of a man or a woman or a child

whose last breath is a scream

against tyranny

 

against the fear that lives inside us

 

 

near a busy oklahoma interstate

along the washita river

 

the fallen cheyenne still whisper

 

 

hi niswa vita kini……

 

we will live again….

 

 

 

Traduzione italiana:

 

Anni fa, vagando in un temporale a San Francisco

Ho sognato un campo bianco di teschi

 

In un terreno fangoso in Ruanda

 

Le uniche macchie scure, le cavità dove prima c’erano i loro occhi

 

Una presenza di whisky e un cappotto militare olandese

l’unica grazia salvifica contro le altre immagini

di sand creek e wounded knee

 

Sapendo che il fetore della speranza che muore e del terrore hanno lo stesso nome e lo stesso odore

E il nome è perso…

 

Qual è il nome di un uomo o di una donna o di un bambino

Il cui ultimo respiro è un grido contro la tirannia

 

Contro la paura che vive dentro di noi

 

Vicino a un’interstatale trafficata in Oklahoma lungo il fiume Washita

 

I Cheyenne caduti ancora sussurrano

 

hi niswa vita kini……

 

vivremo ancora….

 

  

 

ponticella italy

feb 10 09

 

lance henson

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XV GIORNATA INTERNAZIONALE PER IL GENOCIDIO IN RWANDA

IN OCCASIONE DELLA XV GIORNATA INTERNAZIONALE DELL’ONU PER IL GENOCIDIO IN RWANDA

L’Associazione Bene Rwanda Onlus

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presenta

“Memoria per il Rwanda” Martedì 7 aprile 2009, Roma

 

* ore16.30: fiaccolata in Piazza Farnese

* a partire dalle ore 18.00: evento al Teatro Piccolo Eliseo alla presenza di rappresentanti delle istituzioni nazionali e locali

* 18.00-18.30: Apertura e presentazione degli ospiti istituzionali a cura del Presidente dell’Associazione Bene Rwanda: Françoise Kankindi

* 18.30-19.30: Performance “Silence for Rwanda” memoria di un genocidio, di e con Niccolò Rinaldi Segretario Generale aggiunto al Parlamento Europeo, dal libro “L’invenzione dell’Africa – un viaggio, un dizionario“; video e musica di Claudio Boncompagni; Marie Delfino, Beatrice Santini: voce; Luca Becorpi: clarinetti; Elvira Muratore: violoncello; Alessandro Moretti: fisarmonica.

* 19.30-20.30: Video sul tema del premio Nobel Dario Fo 

intervento di Jacopo Fo: “Dio dopo il Rwanda”

* 20.30-21.00: Poesia di Lance Henson poeta americano cheyenne, autore dell’inedito “Years ago homeless in a San Francisco rainstorm”, ispirato a “Se questo è un uomo” di Primo Levi.

* 21.00-22.00: Testimonianza di Yolande Mukagasana, sopravvissuta al genocidio, autrice del libro “La morte non mi ha voluto” e vincitrice della “Menzione Onorevole” dell’UNESCO per l’educazione alla pace. La scrittrice risponderà, insieme ad altri superstiti, alle domande del pubblico.

Per informazioni:
Presidenza: cell. 329 3003293Ufficio stampa: tel. 339/4927988

Scarica l’invito: invito-7-aprile-200911

Scarica il programma: programma-7-aprile30×501

Scarica il comunicato: comunicato-stampa-7-aprile-2009-2

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REVOCATO IL MANDATO D’ARRESTO PER ROSE KABUYE

La giustizia francese avrebbe revocato il mandato d’arresto internazionale contro Rose Kabuye, capo del protocollo della presidenza ruandese, inquisita per il suo presunto ruolo nell’attentato nel 1994 all’allora presidente Juvenal Habyarimana, da molti indicato come l’episodio da cui scaturì il genocidio ruandese.

A rendere noto la decisione della magistratura francese è stata Kigali.

“Il governo ruandese ha espresso apprezzamento alla magistratura francese per aver infine revocato il mandato di arresto, un’azione che permetterà alla signora Kabuye di tornare al suo incarico e di viaggiare liberamente”, si legge in un comunicato citato dalla stampa ruandese e francese.

L’alto funzionario ruandese era stata arrestata nel novembre scorso in Germania ed estradata in Francia.

Dopo il suo arresto Kigali aveva espulso l’ambasciatore francese e richiamato il suo da Berlino, mentre i rapporti diplomatici con Parigi erano già interrotti dal 2006, da quando la magistratura francese aveva emesso il mandato di arresto per Kabuye e altri otto funzionari del governo ruandese per il loro presunto coinvolgimento nel genocidio.

In una recente intervista al settimanale ‘The East African’, Rosa Kabuye ha detto di essere stata accusata di aver dato rifugio al commando che portò a segno l’attentato, addebito che nega.

Lo scorso agosto, la giustizia ruandese ha a sua volta accusato 33 politici e militari francesi di aver avuto un ruolo nelle stragi in cui furono uccisi 800.000 mila Tutsi e Hutu moderati in tre mesi.

Fonte: www.internationalia.net

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“LE FERITE DEL SILENZIO” DI YOLANDE MUKAGASANA

le ferite del silenzioSostieni le attività della Onlus Bene Rwanda acquistando il libro testimonianza “Le ferite del silenzio” (La Meridiana, 1998, pp. 208) di Yolande Mukagasana menzione speciale Unesco per l’educazione alla pace con le foto di Alain Kazinierakis. Per acquistarlo basta inviarci una email con i tuoi dati a

press@benerwanda.org

 

Il prezzo di copertina del libro è di euro 22,00 pagabili in contrassegno. Spese di spedizione comprese. Si applicherà uno sconto del 10% per ordini superiori alle 30 copie.

Leggi la quarta di copertina: IV copertina
Leggi l’introduzione di Yolande Mukagasana:Introduzione

Scarica gli estratti del libro: I° estratto

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