Search Results for ‘yolande’

TESTIMONIANZE DAL GENOCIDIO/12

Brani tratti dal libro “Le ferite del silenzio” di Yolande Mukagasana

 

 11

G. Augustin
36 anni, resistente di Bisesero (Kibuye)

A.G. – Le donne e i bambini raccoglievano i sassi e gli uomini combattevano con gli assassini. Abbiamo cercato di andare sulle colline. C’erano dei camion e dei bus pieni di miliziani e di persone, provenienti da varie zone, che si erano unite a loro. Bisesero è diventato un campo di battaglia. Ci siamo raggruppati sulla collina di Muyira. Gli assassini l’hanno circondata. Hanno cominciato il loro lavoro. I morti erano numerosi, Muyira era coperta di cadaveri di donne, di uomini e di bambini. Siamo stati attaccati tutti i giorni fino all’arrivo dei Francesi. Non eravamo più in molti ed eravamo indeboliti dalla fame, dalle ferite e dal dolore.
Y. M. – I Francesi vi hanno aiutato?
A.G. – I soldati francesi? Sono venuti a dare man forte agli autori del genocidio! È tutto. Ci hanno disarmato, hanno combattuto il FPR, ci sono stati persino dei morti tra loro. Ho visto il cadavere di un soldato francese. Per me, i Francesi sono venuti a sostenere il genocidio.
Y.M. – Non pensi di esagerare un po’?
A.G. – Per niente. I Francesi, nella loro logica di sostegno al governo genocida, ci vedevano come dei nemici. Hanno permesso agli artefici del genocidio di fuggire in Zaire. Per me, i Francesi sono degli assassini.
Y.M. – Per te è importate testimoniare?
A.G. – Il nostro dolore non impedisce al mondo di dormire. Ma ci resta solo la parola. Abbiamo perso tutto, tranne la nostra lingua. Allora, che altro possiamo fare se non testimoniare? Oggi, alla Francia non piace il governo ruandese, quello che ha fermato il genocidio. E per questo non ascolta la nostra testimonianza, non vuole sapere. Ma noi superstiti non siamo il governo ruandese. È come se noi dicessimo che ogni Francese è colpevole del genocidio dei Tutsi. È assurdo. È la Francia che è colpevole di complicità di genocidio, non i Francesi. La Francia discredita il Ruanda di oggi agli occhi del mondo.

  21

SEKAMANA Jean-Marie-Vianney
Circa 36 anni, veterinario, in prigione a Butare

J-M-V.S. – Personalmente, quello che accetto, è che sono stato solidale con gli assassini che erano con me alle barriere. Ma non ho ucciso nessuno con le mie mani. Ma poiché ero con le persone che hanno assassinato, mi dichiaro colpevole. Dividiamo i torti, per solidarietà. Non ho tagliato nessuno con il machete né con il coltello, non avevo fucile per sparare, non ho nemmeno assistito a nessun assassinio. Ma poiché ne perpetravano a qualche metro da dove stavo…
Y.M. – Ma tu, in quanto rappresentante dell’autorità, davi l’ordine di prendere i Tutsi…
J-M-V.S. – No. Eravamo solo insieme…. Si camminava la notte, gli assassini entravano nella casa di una famiglia che conoscevano, ma io, io restavo sulla strada.
Y.M. – Testimoniano contro di te?
J-M-V. S. – Testimoniano contro di me dicendo che ero con loro, ma non dicono che ho ucciso.
Y.M. – Ci sono dei sopravvissuti nella tua cellula?
J-M-V. S. – Si. C’erano dei Tutsi. Ma non erano là. Erano fuggiti.
Y.M. – No. Quelli che erano là al momento in cui avete fatto il genocidio.
J-M-V.S. – Ah! Quelli? Erano nascosti e non li abbiamo visti.
Y.M. – E il bimbo tutsi che accudiva le vostre mucche, dove si è nascosto?
J-M-V.S. – È rimasto da me, a casa.
Y.M. – E non si sapeva che era Tutsi?
J-M-V.S. – Quando si è saputo, era troppo tardi.

 


31

T. Laetitia
30 anni, superstite, Kigali

L.T. – Il 7 aprile, abbiamo dato dei soldi a dei militari per negoziare la nostra salvezza. Il 9 aprile 1994, abbiamo cercato rifugio alla Scuola tecnica officiale. Era piena, i Caschi blu la proteggevano. Ma dopo quattro giorni, il generale R è venuto a discutere con loro e hanno fatto i bagagli e ci hanno abbandonato. Subito dopo la loro partenza, delle granate sono cadute tra la folla, lanciate dalla pista dai miliziani. Siamo scappati disperdendoci nelle strade, con la vaga idea di rifugiarci allo stadio Amahoro. Ma i miliziani ci hanno circondato. Abbiamo fatto segno ad alcuni veicoli di altri Caschi blu che passavano davanti a noi ma non si sono fermati. È allora che un ufficiale ha dato l’ordine ai miliziani di farci salire sulla collina di Kicukiro e di sopprimerci lassù, in modo da evitare che i nostri cadaveri impestassero Kigali. In cima alla collina, abbiamo subito un diluvio di granate, ho visto dei brandelli di carne volare nell’aria. Un’ora e mezza dopo, i miliziani sono entrati nella folla e ci hanno tagliato a pezzi con i machete. Al secondo colpo, sono svenuta. Quando mi sono svegliata, ero completamente nuda. Eravamo forse una decina di superstiti. Ci siamo nascosti nei cespugli. Allora un militare dei FAR è passato vicino a noi. L’abbiamo chiamato e gli abbiamo chiesto di finirci. Ma ha rifiutato. È andato a cercare dell’acqua, poi ci ha indicato una via tramite la quale, venuta la notte, avremmo potuto raggiungere le posizioni del FPR. Così sono stata salvata. Ma dopo il genocidio, ho avuto delle voglie strane. M piaceva mangiare la terra. Ne mangiavo molta e non è molto che ho smesso. Mi piaceva anche il gusto della polvere.
Y.M. – E che speranza hai oggi?
L.T. (sorridendo) – Non ho speranza. Non posso stare molto al sole, altrimenti svengo. Mi basterebbe una piccola somma di denaro per aprire un piccolo commercio, ma so che non l’avrò mai.
Y.M. – Quanto?
L.T. – 150.000 franchi ruandesi. (L’equivalente di 15.000 franchi belgi, 600.000 Lire).
 

Add comment luglio 14th, 2009

Testimonianze dal genocidio 11

Brani tratti dal libro “Le ferite del silenzio” di Yolande Mukagasana

 1

BAGABO Anselme, detto Cassius
24 anni, superstite, Nyamirambo

Y.M. – Perché hai l’aria cosi triste?
Cassius – Durante il genocidio, sono stato tradito da un Tutsi. Mi ha cacciato da casa sua.
Y.M. – Mi dicono che hai cominciato degli studi dopo il genocidio…
Cassius – Si, la medicina. Avevo come ideale di aiutare gli esseri umani. Ma dopo tre anni ho abbandonato.
Y.M. – Perché?
Cassius – Vorrei poter aiutare le persone senza essere in contatto con loro. Mi piacerebbe studiare farmacia. O diventare tecnico di laboratorio, lontano dagli esseri umani ma al loro servizio. E lontano dal Ruanda, se fosse possibile. In Ruanda, c’é una tale aggressività.
Y.M. – Ti senti disperato?
Cassius – Si, lo ero. Ho pensato di suicidarmi. E ora so che non sono più disperato.
Y.M. – Da quando?
Cassius – Da quando ho parlato con te.
Y.M. – Cosa ti aspetti da me?
Cassius – Voglio che tu rappresenti per me una madre. Una persona alla quale posso dire tutto essendo sicuro che lei capirà e che non mi giudicherà.
Y.M. – Non penso poter fare molto per te, ma ti ascolterò.

 

2

KAJUGU Pierre
26 anni, ex militare, in prigione a Butare

Y.M. – Che cosa pensi degli artefici dei genocidio, coloro che vi hanno fatto fare il genocidio, che sono in esilio al riparo dalla giustizia, mentre voi marcite nelle prigioni?
P.K. – Ecco dove sta il problema. Mi si diceva che il generale Ndindiliyimana era il capo dello stato maggiore. E all’improvviso si viene a sapere che durante il genocidio è stato nominato ambasciatore del Ruanda dal governo genocida di Kambanda. Se i miei ricordi sono esatti, è in Canada. Ha voluto partire e sembra che quel giorno si erano messi dei veicoli davanti all’aereo per impedirne il decollo. Non ho mai saputo da dove è passato per uscire dal paese. Inoltre sua moglie era ancora a casa, nello stesso comune di Nyaruhengeri, il suo comune natale. La moglie è uscita da li verso la fine di giugno. In Europa, non si parla di sua moglie. La moglie, non l’ho vista uccidere ma lei mandava i soldati che la sorvegliavano sulle colline per uccidere. C’erano più di otto gendarmi a casa sua e lei era sempre via con loro. Non mi rivolgeva la parola, perché non ero del suo rango.
Y. M. – E quando hai ucciso, chi te ne ha dato l’ordine?
P.K. – Il consigliere comunale era là. Ha detto: “Noi uccidiamo per ordine del generale Ndindiliyimana. È lui che ha dato l’ordine.” Era lo zio del generale Ndindiliyimana. Siamo stati anche arrestati dopo il genocidio, il consigliere ed io, e il consigliere ha spiegato che era il generale che aveva dato l’ordine. Ha spiegato che gli ordini del generale erano molto chiari e spiegati molto bene, e che il generale, suo nipote, veniva spesso a casa da lui. È stato Ndindiliyimana a dare l’ordine di uccidere Nzeyimana Ignace e Munyanshongore Célestin, che erano i suoi vicini. Munyanshongore, sono stato io ad ucciderlo.


3

MUKARUSINE Hélène
40 anni, superstite, Ngoma (Butare)

H.M. – Mio marito era Ugandese. È fuggito con me, per proteggermi. Ad una barriera, ha pagato 90.000 franchi perché non fossi assassinata.
Y.M. – Dove siete fuggiti?
H.M. – Non siamo riusciti a raggiungere il Burundi, allora siamo tornati verso Gikongoro e ci siamo imbattuti nei soldati francesi della zona Turquoise. Gridavano “Tutsi, Tutsi!” e ci hanno obbligati a salire sul loro camion. Invece di portarci al sicuro, ci hanno condotto verso Murambi, alla scuola in costruzione. Qualche giorno dopo, abbiamo dovuto fuggire perché gli assassini circondavano la scuola…
Y.M. – E oggi, come ti senti?
H.M. – Posso dire che sono una donna felice. Nel genocidio ho perso solo mio marito. E inoltre, non è stato ucciso. È morto di un diabete che non ha potuto curare. Certo, se non ci fosse stato il genocidio, non sarebbe morto. Ma è così. Bisogna accettare.
Y.M. – Ora che hai perso tuo marito, pensi di rifarti una vita?
H.M. – No, per niente. Sono diventata un uomo. Vendo della carne al mercato, come facevano gli uomini prima del genocidio. Ma a volte sento che ho bisogno di un sostegno maschile. Cerco di non pensarci. Ho bisogno di qualcuno che mi aiuti moralmente e mi consigli. Non puoi sapere quanto mi fa bene la tua visita. Non parlo mai con nessuno del genocidio e soprattutto non ne parlo con i miei figli.

Add comment luglio 5th, 2009

TESTIMONIANZE DAL GENOCIDIO/10

Brani tratti dal libro “Le ferite del silenzio” di Yolande Mukagasana

 11  

Innocent N.
36 anni, superstite, presidente di un’associazione di handicappati del genocidio, Nyamata

I.N. – Eravamo circa 20.000 resistenti. Insieme a molti altri, ci siamo rifugiati nella chiesa di Nyamata. Abbiamo resistito un mese. Là ho perso mia moglie e mio figlio appena nato. Alla fine, abbiamo dovuto fuggire nelle paludi di papiro.
Y.M. – Come hai perso la gamba?
I.N. – Sono saltato su una mina antipersone.
Y.M. – Come hai avuto l’idea di creare un’associazione di handicappati?
I.N. – Volevo che noi handicappati non fossimo costretti a mendicare. Volevo che grazie alle nostre idee e alle nostre capacità, fossimo in grado di prenderci cura di noi stessi.
Y.M. – Le ONG (organizzazioni non governative) presenti vi aiutano?
I.N. – Non proprio. Ho contattato Handicap International ma non mi hanno risposto. In cambio, ZOA, un’altra ONG, sembra volerci aiutare. Quello che più ci converrebbe, sarebbe trovare un’associazione in Europa che potesse sostenerci un po’.
Y.M. – E al momento, come fate funzionare l’associazione?
I.N. – Paghiamo una quota mensile di 100 franchi a testa. (cioè più o meno 500 lire)


21 

HITIMANA Noël
Circa 50 anni, giornalista, Nyamirambo

La memoria di Noël diventa selettiva durante il colloquio …
Y.M. – Ti dichiari colpevole?
N.H. – Colpevole?
Y.M. – Cioè, coloro che accettano quello che hanno fatto, il loro lavoro durante il genocidio.
N.H. – Si, accetto quello che ho fatto, il mio lavoro durante il genocidio. Ma non mi sono dichiarato colpevole.
Y.M. – Pertanto, mi sembra aver sentito la tua voce, tu hai dato il mio nome alla radio, dicendo che ero morta. Non so se ti ricordi. Il 7 aprile mattina.
N.H. – Un comunicato o cosa? Si, è possibile. È possibile, perché i comunicati passavano.
Y.M. – Conosci Musoni? Era mio fratello. Eravate insieme all’ospedale di Kabgayi, durante il genocidio. Aveva voglia di chiederti se era vero che ero morta.
N.H. – Potevo sapere?
Y.M. – Si, visto che sei stato tu a dirlo alla radio!
N.H. – No. Questo non l’ho detto.
Y.M. – Eppure …
N.H. – NON L’HO DETTO!
Jean-Pierre Martin filmava il colloquio per RTL-Tvi.
J-P.M. – Perché avete accettato di lavorare per una radio che ha fatto parte della pianificazione del genocidio e che giorno dopo giorno incitava ad uccidere una parte della popolazione?
N.H. – Quando mi hanno chiamato per lavorare in questa stazione, si trattava di una radio libera, commerciale. Radio Télévision Libre des Mille Collines (radio televisione libera delle Mille Colline). Ed era autorizzata dallo Stato.
J-P.M. – Ma tutti i paesi occidentali avevano chiesto la sua chiusura.
N.H. – Perché non è stata chiusa?
J-P.M. – È a voi che lo chiedo.
N.H. – Io, non lo so.

 

31 

NGANIMANA Paul
49 anni, superstite, Bugesera

Y.M. – Quando vedi come si fa la giustizia in Ruanda e ad Arusha, pensi che verrà il giorno in cui si fará una vera giustizia sul genocidio?
P.N. – È possibile, se c’è la volontà. Tutto quello che so è che bisogna avere una giustizia secondo le leggi sul genocidio, ma nello stesso tempo non dimenticare che si è prodotto in Ruanda e non altrove. Dire ai superstiti di portare cinque o più testimoni, quando si sa che si trattava di uno sterminio e che molte colline sono state rasate, è inumano. Avere un solo testimone è già difficile. Dove vogliono che troviamo molti testimoni? A meno di resuscitare i morti. È piuttosto un modo di scoraggiarci, noi i superstiti del genocidio. Finché la giustizia non sarà fatta, i Ruandesi non avranno futuro.
Y.M. – E cosa ne pensi della riconciliazione?
P.N. – Non ci credo affatto. Perché non si può obbligare alla riconciliazione. E come se si dicesse “Devi amare quella persona.” Si tratta di un sentimento che può venire solo dall’individuo. Non si può comandare questo sentimento. Non si può esigere che mi riconcili come non si può esigere che ami una certa persona. E poi, chi si riconcilia con chi? Gli assassini che sono ancora in libertà vogliono ancora assassinare. Fino al momento in cui loro non prenderanno l’iniziativa di venire a cercarci, noi superstiti, e dirci “abbiamo peccato contro di voi, perdonateci. Ecco la ragione per la quale l’abbiamo fatto”, finché non ci sarà questa sincerità, non si parlerà di riconciliazione. Che ci perdonino piuttosto, dal momento che non abbiamo fatto loro niente. E che smettano di ucciderci.
Paul è vedovo dal genocidio. Ha resistito a Ntarama con il suo neonato sulla schiena.

 

Add comment giugno 26th, 2009

“LA MORTE NON MI HA VOLUTA”, CAP. XXI-XXII DI YOLANDE MUKAGASANA

Quando, al termine di un lungo viaggio, una contadina entra nella casa di un uomo rispettabile, questa posa il suo bagaglio in un angolo e avanza a testa bassa verso il personaggio sostenendo il suo braccio destro col sinistro e offrendo una mano in segno di rispetto.
Così faccio io con questo piccolo colonnello magrolino e catarroso che sembra ballare nei suoi vestiti.
Fa un sorrisino quasi cinico e mi saluta facendo vedere che miconosce.
«La mie condoglianze, signora. Le abbiamo tagliato i seni».
Mi si rizzano i capelli, capisco il senso figurato dell’osservazione,significa che i miei figli sono morti.

Scarica i capitoli: 11_cap-21-22

Visita la sezione Libri

Add comment giugno 24th, 2009

COSTA, PER IL QUOTIDIANO CITY E’ LO SCHINDLER ITALIANO

2_0_453036851

Lei viveva in Ruanda quando è scoppiato il massacro del 1994: cosa successe?

C’era una guerra civile, che la fazione al potere stava perdendo. Il regime hutu ha pensato al genocidio come alla soluzione per mantenere il potere contro i tutsi.

Genocidio perché in 100 giorni sono morte un milione di persone…

Sì, su una popolazione di sette milioni. Le armi utilizzate erano molto primitive: coltelli, machete, bastoni. Quelli che sono stati uccisi con le fucilate hanno avuto una morte semplice.

Leggi l’articolo integrale dal quotidiano City

Incontro di Dario Fo con Pieratonio Costa e Yolande Mukagasana

Add comment giugno 17th, 2009

TESTIMONIANZE DAL GENOCIDIO/9

Brani tratti dal libro “Le ferite del silenzio” di Yolande Mukagasana

1

Charles W.
45 anni, superstite, Bugesera

C.W. – Per noi il genocidio si preparava dal momento in cui hanno incominciato a misurarci il naso e le tempie. Qui, nel Bugesera, lo hanno fatto tra il 1970 e il 1973.
Y.M. – E durante gli anni novanta?
C.W. – Negli anni novanta, avevamo degli operai che in realtà erano dei militari inoltrati. Lavoravano di giorno e di sera assistevano a delle riunioni. Nel momento in cui hanno incominciato ad uccidere, sono stati i primi, con l’aiuto dei Francesi.
Y.M. – I Francesi?
C.W. – Sì, i Francesi! Avevano una barriera a Gahanga. Là, fermavano i Tutsi che avevano dei figli nel FPR e li consegnavano ai FAR.
Y.M. – Cosa ne pensi del modo in cui si rende giustizia oggi?
C.W. – Sono triste quando vedo che si fanno uscire dalle prigioni gli autori del genocidio con il pretesto che sono vecchi o malati, mentre loro hanno ucciso i loro simili nei letti. Come il mio vicino Fidèle, costretto a letto da molto tempo; l’hanno fatto a pezzi e non dimenticherò mai l’immagine di quel cane con il piede di Fidèle in bocca. Ora, ci si basa sull’assenza di prove o sull’età troppo avanzata per liberarli. Sapete come hanno ucciso l’unico figlio che avevo? Hanno giocato a calcio con lui, fino a quando è morto. Assistevo, impotente. Qualcuno può rispondere a questa domanda: “perché giocare con il mio bambino come se fosse un pallone?”. Ho l’impressione che sono gli assassini a fare giustizia oggi e vogliono fare uscire i loro dalle prigioni. Durante il genocidio, per ammazzare più facilmente la gente, la si faceva raggruppare nelle chiese, nelle scuole, negli stadi, etc. Ora si costruiscono dei villaggi per i superstiti del genocidio o per i poveri Tutsi rientrati dall’esilio. Chi può garantirmi che una volta raggruppati non saranno uccisi di nuovo?
Y.M. – Di che cosa vivi oggi?
C.W. – Cerco di coltivare qualcosa. Ho due figli nati dopo il genocidio e mi occupo di tre orfani del genocidio. Ma moglie ha un braccio tagliato. Non può aiutarmi.
Y.M. – Hai una casa?
C.W. – No. Occupo la casa di persone che sono andate via, ma se tornano dovrò lasciarla.
Y.M. – Cosa pensi dei Bianchi?
C.W. – Sono tutti uguali. I Belgi hanno creato la divisione tra noi inventando una carta d’identità etnica poi, sulla base di questa carta d’identità, i Francesi sono venuti ad appoggiare il genocidio. Se hai l’occasione di incontrare dei Francesi, chiedi loro se si ricordano della barriera di Nyanza a Kicukiro. E poi, che i Bianchi la smettessero di dire che ci sono stati tra 500 e 800.000 morti. Perché diminuiscono le cifre? Abbiamo perso 2 milioni di persone. Osano parlare di 500 a 800.000! Perché? Le persone come voi devono rinfrescar loro la memoria.
Y.M. – Continuerò a lottare per la verità. È tutto quello che posso fare. Quando sarò morta, lo saprete.
C.W. – Se non sei ancora morta, pensi che sia per pietà?
(risa)

2

MUNYAMBUGA Thaddée
45 anni, catechista, in prigione a Butare

Y.M. – Sembra che vi dichiariate colpevole?
M.T. – Si, mi dichiaro colpevole. Ma sono innocente.
Y.M. – Siete davvero innocente? Ma allora, perché dichiararsi colpevole?
M.T. – Ho solo impedito ai Tutsi di sfuggire ai gendarmi. Ma io, io non ho ucciso con le mie mani. Sono innocente.
Y.M. – E i Tutsi che avete consegnato ai gendarmi, sono morti?
M.T. – Nessuno è stato ucciso alla barriera che sorvegliavo, tranne i Tutsi del mio quartiere.
Y.M. – Parlo di quelli che voi avete consegnato ai gendarmi.
M.T. – Quei Tutsi, ho solo impedito loro di fuggire e li ho portati dai gendarmi. Ma non li ho uccisi. Non ho ucciso nessuno con le mie mani. Bisogna riconoscere la mia innocenza. Sorvegliavo solo la barriera. Ho solo ubbidito.
Y.M. – Ma avete ubbidito a delle persone che volevano uccidere!
M.T. – Sono innocente. Non ho sangue sulle mie mani.
Y.M. – E avete salvato delle persone?
M.T. – Non ho salvato nessuno. Ma c’erano solo due famiglie tutsi nel mio quartiere.
Y.M. – E loro sono morti?
M.T. – Si, sono morti. Ci sono stati pochi morti nel mio quartiere.
Y.M. – Credo che non abbiamo più niente da dirci.

3

Odette M.
32 anni, superstite, Nyamirambo (Kigali)

O.M. – Dall’assassinio del presidente, mio marito, mio figlio ed io ci siamo nascosti a casa di diverse persone. Ma il 24 aprile ci hanno trovato e portati alla barriera. Gli assassini hanno chiesto a mio marito la sua carta d’identità. Lui l’ha mostrata, è stato subito colpito con un manganello e poi freddato con tre pallottole nel petto. Uno dei nostri vicini è stato ucciso nello stesso momento: i miliziani l’hanno frugato, hanno trovato dei soldi e se li sono contesi. Approfittando della lite, uno degli assassini, di nome Antoine, mi ha fatto portare a casa sua. Là, mi ha nascosta sotto il letto con il mio bimbo. Ci sono rimasta cinque settimane. è così che mi sono salvata. Quando il FPR è arrivato, siamo stati riuniti insieme a molti altri superstiti, gli Interahamwe hanno gettato una granata sul nostro gruppo ed è così che sono stata ferita.
Y.M. – E ora, ti capita di avere paura degli Interahamwe o delle persone che hai visto uccidere? Ti capita di incontrarli?
O.M. – (sorridendo) Li incontro tutti i giorni! Sono i miei vicini. Ma non ho paura perché‚ non ho nessuna via d’uscita. Mi uccideranno quando lo vorranno.
Y.M. – E il tuo bambino si ricorda del genocidio?
O.M. – No, aveva solo un anno. A scuola, ne parla con i suoi compagni e mi chiede perché non ha il papà e perché io ho solo un braccio. Quando glielo spiego, mi dice “mamma, ti vendicherò; prima o poi, dovranno ridarmi il mio papà”.

Add comment giugno 16th, 2009

“LA MORTE NON MI HA VOLUTA”, CAP. IX-XX DI YOLANDE MUKAGASANA

In Rwanda i cognomi non si danno come in Europa.
Io mi chiamo Mukagasana, che vuol dire “la moglie di Gasana”,perché alla mia nascita mio padre mi destinava a diventare la sposa di un certo Gasana, il figlio di un amico per il quale provava ammirazione o che gli aveva fatto del bene, un tempo, non so.

Scarica i capitoli: 10_cap-19-20

Visita la sezione Libri

Add comment giugno 13th, 2009

TESTIMONIANZE DAL GENOCIDIO/8

Brani tratti dal libro “Le ferite del silenzio” di Yolande Mukagasana

untitled-1-copy4

 MVUGAYABAGABO
16 anni, figlio di un autore del genocidio, Mwurire

Y.M. – Nessuno querela tuo padre?
M. – No. Ma dicono che ha picchiato qualcuno. E che a causa dei colpi, la vittima si è ammalata di tubercolosi.
Y.M. – Ed era durante il genocidio?
M. – Si.
Y.M. – Conosci questa persona?
M. – Si. Si chiama Butare.
Y.M. – È morto o è ancora vivo?
M. – Non è morto. È diventato militare del FPR.
Y.M. – È vero che è ammalato di tubercolosi?
M. – No.
Y.M. – È diventato militare durante il genocidio?
M. – No. Dopo. Un anno fa, credo.
Y.M. – Era un vostro vicino?
M. – No. Noi abitavamo in cima alla collina. Lui, abitava sotto.
Y.M. – Era un Hutu o un Tutsi, Butare ?
M – Tutsi.
Y.M. – Forse hanno semplicemente fatto a botte durante il genocidio?
M. – No. Nemmeno. Quando papà era ancora vivo, mi ha detto di averlo incontrato e di avergli indicato un buon sentiero per evitare gli assassini.
Y.M. – Quindi ha mentito dicendo che tuo padre l’aveva picchiato?
M. – Si. Sono sicuro che papà non ha mai picchiato nessuno.
Y.M. – Di che cosa e morto tuo padre?
M. – Di malattia, qualche mese fa.

Mi giro verso Gasana, il guardiano del luogo: “Suo padre era un autore dei genocidio?” Gasana mi guarda con un sorriso malizioso.
Dopo il colloquio con il ragazzo, Gasana mi spiega che non ha voluto ferire quel ragazzo innocente, ma che suo padre era un artefice del genocidio e non uno dei minori.

untitled-1-copy21

Marie-Josée N.
31 anni, vedova di un Tutsi, sito di Murambi (Gikongoro)

M.-J.N. – Mio marito era Tutsi ed io sono Hutu. Era ingegnere. Lo supplicavo spesso di lasciare il paese, ma non voleva, aveva fiducia nella Comunità internazionale. Fiducia inutile. È stato ucciso mentre scappava nella foresta di Karama e il mio bambino ha avuto il collo tagliato per metà ed è diventato emiplegico. Inoltre oggi soffre di disturbi legati ad un trauma psicologico. La notte, gli capita di girarsi nel suo letto e di urlare: “Vengono ad uccidermi, vengono ad uccidermi!”. Non ho soldi per portarlo dal medico.
Y.M. – Che lavoro fai?
M.-J.N. – Lavoro ad un monumento commemorativo del genocidio e guadagno mille franchi al mese (5.000 lire). Lavo gli scheletri, tolgo le ragnatele. All’inizio, gli Hutu mi dicevano “Sei nostra sorella, smetti di occuparti di questi ossami, ti porteranno sfortuna. Non ti vergogni di occuparti ancora dei Tutsi?”. Ma dopo che ho sposato il fratello di mio marito, sono loro che si vergognano. Non osano più apostrofarmi a questo proposito.
Y.M. – Cosa fa tuo marito?
M.-J.N. – È un militare di basso rango.
Y.M. – Come si chiama tuo figlio?
M.-J.N. – Welcome Norbert. Ha sette anni.
Y.M. – Welcome? Che nome buffo.
Marie-Josée non risponde, sorride, pensierosa.

untitled-1-copy31

NIYONSABA Cassius
10 anni, superstite, Ntarama

Y.M. – Avevi cinque anni durante il genocidio. Ti ricordi? Cosa è successo? Dove abitavate?
Cassius – Ntarama.
Y.M. – Eri con i tuoi genitori?
Cassius – Si.
Y.M. – Come sono stati uccisi?
Cassius – Gli assassini sono entrati in parecchi nella chiesa dove ci eravamo rifugiati con centinaia di altre persone. C’erano degli uomini, delle donne, degli anziani e dei bambini. Urlavano, come se fossero ubriachi. Hanno colpito con dei manganelli. Noi svenivamo e i bambini ci finivano con il machete.
Y.M. – C’erano bambini della tua stessa età che uccidevano?
Cassius – Si. E anche più giovani. I genitori insegnavano loro ad uccidere gli anziani. Hanno tagliato le braccia e le gambe di mamma. Mi ha urlato di correre fuori perché lei stava per morire e non avrebbe potuto più proteggermi.
Y.M. – È un bambino che ti ha dato questo colpo di machete sulla testa?
Cassius – Non so …
Y.M. – Non hai mai dei problemi in seguito a questo colpo sulla testa?
Cassius – Si. Quando gioco molto al calcio, la notte muoio.
Y.M. – Bisogna farti curare. Chi può aiutarti?
Cassius – Mia cugina, la cui madre mi ha raccolto, ha appena finito i suoi studi di lettere classiche. Quando avrà un lavoro, mi fará curare.

Add comment giugno 11th, 2009

“LA MORTE NON MI HA VOLUTA”, CAP. XVII-XVIII DI YOLANDE MUKAGASANA

Mi ritrovo in una stanza abbastanza grande, sgombra di tutti i mobili, che i preti hanno assegnato ai rifugiati. Un lampadario della pista proietta su un muro bianco l’immagine bluastra di alcune finestre inaccessibili, come le porte di una prigione.

Scarica i capitoli 9_cap-17-18

Visita la sezione Libri

Add comment giugno 9th, 2009

TESTIMONIANZE DAL GENOCIDIO/7

Brani tratti dal libro “Le ferite del silenzio” di Yolande Mukagasana

 untitled-1-copy1

Chantal M.
37 anni, superstite, Gahembe (Bugesera)

C.M. – Credo che siamo arrivati dagli amici di mio padre il 12 aprile; loro hanno gridato tutti insieme “Dove andate, scarafaggi? Non vogliamo più vedervi”. Era da queste stesse persone che avevamo messo tutti i nostri oggetti di valore. “Persino Dio vi ha abbandonati. Il Dio dei Tutsi non esiste più. Ritornate da dove venite.” Ci prendevano in giro e ridevano della nostra disperazione. “A che ti servirebbe se io ti salvassi, mi ha detto uno di loro, tu saresti l’unica Tutsi al mondo. Perché tutti gli altri moriranno. Dimmi piuttosto che morte scegli, il manganello, la spada o le pallottole.” Ho chiesto solo dell’acqua per i miei bambini. Non ce ne hanno data e ci hanno scacciato. “Non avete più il diritto di bere la nostra acqua.” Siamo andati nelle piantagioni di sorgo fino al mattino. Ero con il più piccolo dei miei bambini quando abbiamo sentito degli assassini chiamarne altri: “Alzatevi, siamo in ritardo per il lavoro.”
Y.M. – Dove erano i vostri altri figli?
C.M. – Signora, se avete veramente vissuto il genocidio, vi ricordate che non si pensava nemmeno più che avevamo dei figli. Una volta arrivati nella boscaglia, i bambini si erano nascosti per conto loro. Ho sentito come sono stati uccisi. Era al loro grido, che chiedeva grazia agli autori del genocidio, che li ho riconosciuti. Ad un certo momento, ho desiderato la morte, ne avevo abbastanza. Non sapevo più dove andare. Sono rimasta nello stesso posto, sperando che mi trovassero per uccidermi. Non mi sono più spostata. A volte, gli assassini passavano vicino a me, sentivano il sudore e il sangue. Persino quelli che credevo essere i migliori hanno ucciso. Era scoraggiante ascoltare le loro conversazioni, non sospettavano nemmeno della mia presenza.
Si parla della fame durante il genocidio, ma nessuno aveva più fame, solo sete. Per caso, si arrivava ad una pozzanghera e si beveva senza farsi domande. Qualsiasi acqua era potabile. Il bimbo che mi restava mi stringeva quando avevamo paura. Avevo l’impressione che mi dicesse “coraggio, mamma”. Mangiavo i semi di sorgo, glieli risputavo in bocca e mi sorrideva. Abbiamo vissuto così durante il genocidio. Non sono mai stata nascosta da nessuno.
Y.M. – Che speranza avete ora.
C.M. – Sono sola. Mi affido a Dio.
Y.M. – E la giustizia?
C.M. – La giustizia non ci serve a granché.


 

untitled-1-copy2

NIKUZE Consolata
48 anni, coltivatrice, in prigione a Butare

C.N. – In nome di Dio onnipotente, vi dirò cosa ho visto. La sera del 6 aprile 1994, c’era un uomo che fuggiva non so da chi. Ha corso verso una piantagione di sorgo, ma è stato raggiunto in fretta dalle donne.
Y.M. – E dov’erano gli uomini del quartiere?
C.N. – Ti giuro che non c’erano uomini.
Y.M. – Si, ma dove erano andati?
C.N. – Non c’erano.
Y.M. – Dove erano andati?
C.N. – Mio marito lavorava come guardiano di notte da un Bianco. Non c’era. E gli altri erano liberi di andare dove volevano. Non potevo sapere. E ogni persona che arrivava picchiava il fuggitivo. Io, non volevo che si pensasse che l’avevo picchiato. Allora, sono andata via. E le donne hanno cominciato a urlare e a fischiare. “La paurosa se ne va. La paurosa. Se quest’uomo fosse arrivato a casa tua, avrebbe ucciso i tuoi bambini.” Sono tornata per supplicarle di non picchiare quest’uomo. “Smettete di picchiarlo!” Mi hanno risposto: “Tu, dunque ti rifiuti di picchiarlo?” In nome di Dio onnipotente, l’ho colpito allora con un rametto di paglia. All’improvviso, un giovane è arrivato di corsa. Aveva una piccola giacca dalla quale ha tirato fuori un machete minuscolo.
Y.M. – Signora, osate dire un machete “minuscolo”. Dove avete visto un machete “minuscolo” durante il genocidio?
C.N. – È vero, era un machete normale.
Y.M. – Tutti questi vocaboli mi disgustano.
C.N. – Davvero, mia cara, ti dico la verità.
Y.M. – Anch’io, sono qui per ascoltarvi. Ed è per questo che ora siete in prigione?
C.N. – Si.
Y.M. – Solo per questo?
C.N. – Si.
Y.M. – Allora penso che siate innocente. Poiché non avete né colpito né assassinato, non capisco perché siate in prigione. Infatti trovo che non abbiamo granché da dire. Perché siete innocente.
C.N. – Ma se l’ho colpito con un rametto di paglia!?

Ho interrotto brutalmente il colloquio. La menzogna era troppo evidente. La situazione mi era diventata insopportabile.


 

untitled-1-copy3

UWITONZE Françoise
12 anni [?], superstite, Kíbeho

Y.M. – Che malattia hai?
F.U. – I vermi.
Y.M. – Li hai presi al campo profughi in Burundi?
F.U. – No.
Y.M. – Dopo il genocidio?
F.U. – Si.
Y.M. – O forse li hai presi prima?
F.U. – Si. Quando ero piccola.
Y.M. – Prima del genocidio, eri magra come ora?
F.U. – No.
Y.M. – Da quando sei dimagrita così tanto?
F.U. – Adesso.
Y.M. – Mangi abbastanza?
F.U. – Si, mangio.
Y.M. – Io ho l’impressione che non è abbastanza. Ma dimmi, perché non mi guardi negli occhi? Eppure, puoi.
F.U. – …
Y.M. – E perché non rispondi?
F.U. – …
Y.M. – Ti hanno detto di non rispondermi?
F.U. – …
Y.M. – Eppure sai parlare…
F.U. – …
Y.M. – Ti hanno vietato di rispondermi?
F.U. – No.

Silenzio.
Questa bimba sembra avesse 12 anni al momento del genocidio. E nella sua testa, ha sempre 12 anni. Ho l’impressione che non si svilupperà se non cambierà ambiente.

 

Add comment giugno 6th, 2009

“LA MORTE NON MI HA VOLUTA”, CAP. XIV-XVI DI YOLANDE MUKAGASANA

È un mattino, credo, che è incominciato. Il mattino del decimo giorno. Dapprima, grosse detonazioni sorde in due tempi: lancio ed esplosione. Senza dubbio dei missili muniti di una carica che esplode cadendo. Qualcosa di sofisticato, in una parola, e che fa paura due volte.
Si direbbe che tutta la collina sia un campo di battaglia.

scarica i capitoli al seguente link: 8_cap-14-15-16

Add comment giugno 4th, 2009

TESTIMONIANZE DAL GENOCIDIO/8

Brani tratti dal libro “Le ferite del silenzio” di Yolande Mukagasana

untitled-1-copy5

Alice M.
28 anni, superstite, Nyamata

A.M. – Un camion si è fermato davanti alla nostra casa, sono entrati degli uomini in uniforme da militari e da gendarmi. Uno di loro ha detto: “che bella ragazza, non ho il coraggio di ucciderla”. Ha frugato la casa, ha saccheggiato tutto, ha persino preso gli abiti che indossavo. Un secondo assassino ha preso mio figlio in braccio e lo lanciava in aria con violenza. È così che l’ha ucciso. “Suicidatevi signora, diceva, il Dio dei Tutsi è morto, non avete nessuna possibilità di sopravvivere”. Mio marito era riuscito a nascondersi. Io ho ricevuto un colpo sulla testa e sono svenuta. Quando se ne sono andati, mio marito mi ha scosso per svegliarmi e fuggire verso la Chiesa di Ntarama. Là, c’erano solo cadaveri. Allora abbiamo raggiunto la resistenza nella nostra zona e siamo rimasti là fino alla morte di tutti i sopravvissuti. Ci siamo allora nascosti nelle paludi. È là che mi hanno tagliato il braccio.
Y.M. – Chi ti ha tagliato il braccio?
A.M. – È difficile dirlo perché siamo stati attaccati da diversi gruppi di assassini. Mi ricordo solo che il giorno in cui ho avuto il braccio tagliato, ho visto che buttavano nell’acqua mio marito e lui non sapeva nuotare… Sanguinavo e ho perso conoscenza. Quando mi sono svegliata, parecchi giorni dopo, ero in una specie di ospedale. Mi ricordo che quando mi hanno tagliato la mano, non ho avuto male, ho solo sentito le ossa rompersi; dopo, ho avuto molto male.
Y.M. – Vedo che avete avuto due bambini dopo il genocidio, questo vi ha fatto dimenticare il vostro bambino ucciso?
A.M. – No, per niente. Amo anche loro ma niente può farmi dimenticare il mio bambino morto. È una ferita che non si cicatrizzerà mai.
Y.M. – Fai parte di questa associazione di handicappati che ho incontrato?
A.M. – No, non ho il tempo. Ho avuto due bambini dopo il genocidio e ho accolto tre orfani. Ho solo una mano, non è facile lavorare. Con mio marito, dobbiamo cercare di trovare qualcosa per nutrire questi bambini. Non ho il tempo di partecipare a delle riunioni di associazione.
Y.M. – Bisogna provare perché è importante essere con gli altri e poter parlare.
A.M. – È vero, a volte ci sentiamo molto soli di fronte a noi stessi.

untitled-1-copy22

André H.
34 anni, autore del genocidio, prigione di Kigali

Y.M. – Perché sei in prigione?
A.H. – Sono stato arrestato perché dicono che ho partecipato al genocidio.
Y.M. – E non è vero?
A.H. – Non è vero. Non ho ucciso nessuno.
Y.M. – Hai dei testimoni della tua innocenza?
A. H. – Sfortunatamente no. Tutti i miei vicini sono contro di me, persino quelli che erano con me durante il genocidio.
Y.M. – Perché pensi che sono contro di te?
A.H – Non so.
Y.M. – Dove stavi durante il genocidio?
A.H. – Ero a casa mia, ero molto malato e sono rimasto a letto.
Y.M. – Sei rimasto a letto per tre mesi?
A.H. – Sì, non mi sono mai alzato.
Y.M. – Non hai visto il genocidio?
A.H. – No.
Y.M. – Non sei scappato dalla guerra?
A.H – Sì, sono andato nello Zaire.
Y.M. – Quando sei tornato?
A.H. – Qualche mese fa.
Y.M. – Perché non sei rientrato prima?
A.H. – Perché tutti dicevano che ho ucciso un bambino di 12 anni e altre persone.
Y.M. – E conoscevi questo bambino?
A.H. – Sì, ma non l’ho ucciso, sono solo passato vicino al suo cadavere.
Prima dell’incontro, ho chiesto di che cosa era accusato quest’uomo. Mi hanno detto che ha commesso molti omicidi durante il genocidio. Avrebbe violentato un bambino di 12 anni prima di ucciderlo. Ne ho avuto abbastanza di ascoltarlo, era troppo duro e ho dovuto smettere.

untitled-1-copy32

K. Caritas, G. Jean-Marie-Vianney
8 anni e superstiti entrambi, Ngoma (Butare)

Caritas ride quando le chiedo se devo togliermi gli occhiali per parlarle. Parla con calma.
“Gli assassini hanno prima ucciso mamma. Lei ci gridava di non restare con lei, di fuggire. Quando mamma è morta, abbiamo vagato. Ma ci siamo imbattuti in altri assassini che ci hanno colpito con dei machete e gettati, mio fratello Alphonse, mia sorella Cérapia ed io, in una fossa. Solo io non ero stata colpita. Ma ho constatato che Alphonse era morto e che Cérapia aveva una grande ferita sul collo. Venuta la notte siamo riuscite a scappare, Cérapia ed io, e abbiamo vagabondato nascondendoci tra i cespugli. Il giorno dopo, abbiamo camminato e siamo arrivate ai piedi di una collina dove abbiamo trovato una piccola pozza riempita di cadaveri. Tra i corpi, c’erano degli spazi in cui si vedeva l’acqua, rossa a causa del sangue che vi era scorso. Ma avevamo talmente sete che abbiamo bevuto lo stesso.”
La madre adottiva di Caritas assisteva al colloquio. Mi spiega che Caritas ha avuto molti problemi psicologici dopo il genocidio. Non dormiva, si innervosiva per nulla, non accettava nessuna osservazione. Ma ora va meglio. Il suo ricordo del genocidio è totale.

Jean-Marie-Vianney
“Eravamo in una chiesa, ma la chiesa è bruciata. Siamo scappati di corsa. Mamma mi portava sulla schiena. A una barriera, ci hanno picchiato. Ho ricevuto un colpo molto violento sulla gamba. E poi mamma un giorno ha detto che andavamo nel Burundi. E poi un giorno hanno ucciso mamma. E poi, mi hanno portato in Europa, in un ospedale. E mi hanno curato. Mi facevano delle iniezioni. Oggi la mia gamba mi fa ancora male.”
Jean-Marie-Vianney è il fratello di adozione di Caritas. Nonostante un trattamento in Germania a causa di un trauma psicologico grave, si ricorda solo questi fatti e il suo soprannome: Kibonge, il cicciottello. È diventato un bimbo troppo calmo per la sua età.

1 comment maggio 28th, 2009

“LA MORTE NON MI HA VOLUTA”, CAP. XII-XIII DI YOLANDE MUKAGASANA

Ferocia nera o barbarie bianca?
Sento ancora la voce di quel missionario.
«Come ti chiami?».
«Yolande».
«Yolande come?».
«Yolande Mukagasana».
«Ancora un nome da selvaggio. Come vuoi che possa ricordarmelo?».

scarica i capitoli al seguente link: 7_cap-12-13

Add comment maggio 26th, 2009

DARIO FO INCONTRA YOLANDE MUKAGASANA E PIERANTONIO COSTA

38

Il 7 aprile 2009, il Premio Nobel per la letteratura Dario Fo ha ricevuto nella sua casa a Milano i candidati al Nobel della Pace 2010 Yolande Mukagasana e Pierantonio Costa, per esprimere il suo sostegno alla loro candidatura. Durante l’incontro, il Maestro ha mostrato loro numerosi dipinti che nel corso della storia hanno ritrattato il “massacro degli innocenti”. Inoltre, ha fatto loro dono di due sue opere, specialmente donate alla causa del riconoscimento internazionale del genocidio dei Tutsi e dei massacri degli Hutu moderati in Rwanda nel 1994.

1 comment maggio 25th, 2009

“LA MORTE NON MI HA VOLUTA”, CAP. IX-XI DI YOLANDE MUKAGASANA

Feriti, ma vivi. Torturati, ma vivi. Umiliati, ma vivi. È in questo stato che ritrovo i miei figli. Tremo vedendoli avanzare verso me, come tre piccoli re magi cenciosi. Ci abbracciamo, piangiamo. Spérancie geme in un angolo della stanza. I suoi singhiozzi mi entrano nella carne come tanti segni della sua debolezza, del suo sentimentalismo senza vigore. Alla fine si alza, scompare nel giardino, lasciandomi alla mia dolorosa intimità di madre circondata dai suoi sfortunati figli.

scarica i capitoli al seguente link: La morte non mi ha voluta cap-9-10-11

Add comment maggio 22nd, 2009

Next Posts Previous Posts


Calendario

maggio: 2024
L M M G V S D
« apr    
 12345
6789101112
13141516171819
20212223242526
2728293031  

Posts del mese

Posts su Categorie